Il 1959 vede ancora Giulia Lazzarini in televisione, all’interno della rassegna di teatro popolare curata da Diego Fabbri, interpreta il testo di Adolfo d’Ennery e Eugene Cormon Le Due Orfanelle riadattato per la televisione dallo stesso Fabbri. Inizia quindi a diventare un volto noto della televisione italiana e le viene proposto di entrare nel cast di famosi caroselli, la fortunata formula pubblicitaria dei primi anni della TV. Il primo è del 1957, accanto ad Alberto Lionello e Elio Corvetto, per una famosa marca di dado da brodo; continua poi nel 1962 e nel 1963 con due buffe serie per la pubblicità di un noto formaggio accanto a Cesco Baseggio e a giovani esponenti della musica italiana degli anni Sessanta: Gino Paoli, Giorgio Gaber, Sergio Endrigo (Marco Giusti, Il Grande Libro di carosello, Frassinelli 2004, pag.314 e 540). La sua esperienza di testimonial non si ferma ai caroselli ma si allarga anche alla moderna pubblicità. Nella seconda metà degli anni Settanta invita infatti le donne italiane ad acquistare macchine da cucire. E’ un attrice che non disdegna snobisticamente gli introiti economici che le derivano dalla pubblicità e in modo semplice e sicuro di sé ad un giornalista che, nel 1977, insinua un controsenso tra la sua partecipazione ai grandi spettacoli del Piccolo Teatro e le sue apparizioni in pubblicità altamente commerciali replica in modo deciso: “Per la pubblicità sono pagata così come ricevo lo stipendio dal Piccolo. Mi vendo all’industria ma altrettanto faccio nei confronti del teatro.” (da Mi vendo al Teatro come in pubblicità, intervista in “Il Lavoro”, Genova 25 Novembre 1977).
La stagione 1959/60 è di fondamentale importanza per l’attrice. Recita ancora per il Piccolo Teatro di Milano e, sempre come interprete di Clarice, segue la tournée di Arlecchino servitore di due padroni, che la porta a fare il giro del mondo, recita al City Center Theatre di New York, a Philadelfia, a Washington, a Los Angeles, a San Francisco, in Canada e poi a Bucarest, a Mosca, ospite del Maly Theatre e a Leningrado.
Poco prima di partire per gli Stati Uniti, nel febbraio del 1960 sposa, a Gardone Riviera, il collega Vincenzo de Toma (conosciuto anni prima all’epoca della sua prima esperienza in palcoscenico, con I Grattacieli) con il quale avrà pochi anni dopo una figlia, Costanza. Il marito di Giulia Lazzarini muore nel novembre del 1977.
Dalla tournée di Arlecchino del 1960 la carriera della giovane attrice si lega sempre più intensamente alla vita artistica del Piccolo Teatro e, per naturale conseguenza, alle scelte artistiche di Giorgio Strehler, regista del teatro.
Tra il 1965 e il 1970 si riducono notevolmente le messe in scena teatrali dell’attrice per la televisione, pur essendo una stagione molto florida per il teatro televisivo. Aumentano parallelamente i grandi spettacoli con le compagnie di prosa italiane, oltre a quella del Piccolo Teatro, l’attrice si lega, dal 1968 al 1970 alla Compagnia dei Giovani con De Lullo, Rossella Falk e la Albani. Partecipa alla messa in scena de L’amica delle mogli di Pirandello, Hedda Gabler di Ibsen e Victor ovvero I bambini al potere di Roger Vitrac, allestite nel periodo d’oro della compagnia (Antonio Audino, La compagnia dei giovani, 1954/1974 Una stagione del Teatro italiano, Roma Editalia 1995). La Compagnia dei Giovani, riconosciuta da più parti come una delle esperienze teatrali più significative del dopoguerra italiano, negli anni 60 e 70 predilige un repertorio classico non segnato da particolari sperimentalismi e senza concessioni al clima di ribellione artistica di quegli anni, cavalcando il proprio successo e vivendo il divismo della Roma di quegli anni. È curioso constatare la diversità di esperienze che caratterizzano Giorgio Strehler e Giulia Lazzarini (già legati alla fine degli anni 60 da una stretta relazione maestro-allieva), l’uno abbandona il teatro pubblico, lasciando Paolo Grassi al timone del Piccolo Teatro e fondando a Roma, tra il 1969/70, il TeatroAzione, l’altra si accosta all’espressione più classica del teatro italiano, la Compagnia dei Giovani appunto, accusata più volte di chiudere gli occhi di fronte ai venti di rinnovamento che soffiavano in Italia.
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