La compagnia ducale lascia Parigi i primi di luglio. Sulla via del ritorno, tra luglio e settembre, Lelio e Florinda decidono di fermarsi nel sud della Francia, probabilmente a Lione e poi a Nancy presso la duchessa di Lorena. Martinelli, smanioso di tornare in Italia, abbandona la troupe: lo seguono Virginia Rotari, Girolamo Garavini e Bartolomeo Bongiovanni, mentre tutti gli altri restano con gli Andreini. Sulla via del ritorno con i figli e la moglie di nuovo incinta, durante una sosta a Torino il duca di Savoia regala un destriero a tutta la famiglia, proponendosi come padrino del nascituro. Tristano inizialmente accetta, ma poi, nel 1615, sceglie come padrino del quarto figlio il granduca di Toscana.
Negli anni successivi Arlecchino sembra prendere nuovamente congedo dalle scene, dedicandosi alla gestione dei propri averi. Torna sul palco nel 1618, anno in cui lo troviamo impegnato con i Fedeli di Giovan Battista Andreini e Virginia Ramponi a Parma in giugno, a Milano in estate e a Verona in dicembre. Sempre nel 1618 iniziano le trattative per una nuova tournée francese. Inizialmente Luigi XIII individua in don Giovanni de’ Medici, all’epoca protettore dei Confidenti, il possibile intermediario per l’allestimento di una truppa comica da condurre in Francia. La proposta iniziale di Don Giovanni è quella di mandare a Parigi i Confidenti al completo, con l’aggiunta di Lelio, Florinda e Arlecchino. Ma nel 1619 Don Giovanni rinuncia alla trattativa e la troupe viene allestita ancora una volta sul nucleo dei migliori attori in forza alla compagnia ducale.
I preparativi durano oltre un anno, e solo nell’ottobre del 1620 la compagnia si mette in cammino per raggiungere Parigi, dopo la solita sosta a Torino, alla fine dell’anno. Oltre agli Andreini e a Martinelli, fanno parte della spedizione Stefano Castiglioni, Federico Ricci, Giovanni Rivani, Girolamo Garavini, Urania Liberati, Virginia Rotari, Benedetto Ricci e Lorenzo Nettuni. Le recite degli italiani si susseguono con crescente successo per tutto l’inverno e fino a primavera. Arlecchino è però sempre più un corpo estraneo al resto della compagnia, attento esclusivamente al proprio tornaconto, impegnato più a collezionare protezioni illustri che a recitare. Lo stesso Pier Maria Cecchini, prima di essere escluso dalla tournée francese, informava come Martinelli facesse «vita fuori del grembo dei compagni». Nell’aprile del 1621 i comici al completo accompagnano la corte durante un soggiorno a Fontainebleu. Le nuove sollevazioni delle province ugonotte costringono però Luigi XIII a intraprendere una nuova campagna militare, privando di conseguenza gli attori dei principali committenti e di buona parte degli utili previsti. L’impaziente e ormai anziano Tristano si prepara a tornare in patria, ma Giovan Battista Andreini, ormai leader indiscusso del gruppo, è di avviso contrario, e si affretta a firmare con l’Hotel de Bourgogne un impegnativo contratto per tre mesi di recite. La defezione di uno degli attori più importanti rischia di mettere in difficoltà il resto della compagnia, ma Tristano non è abituato a prendere in troppa considerazione le esigenze del collettivo: forte del proprio prestigio, ottenuta licenza di tornare in Italia direttamente dai sovrani, può permettersi di ignorare due lettere sottoscritte da tutti i suoi compagni per denunciarne l’insubordinazione e di mettersi in cammino, ai primi di giugno, verso Mantova.
Negli ultimi anni di vita, le apparizioni sceniche di Tristano sono rare, probabilmente limitate per la maggior parte a brevi performances da camera. Nell’estate del 1623 lo troviamo a Padova nuovamente con i Fedeli, che però abbandona bruscamente durante le rappresentazioni, mentre tra il settembre e l’ottobre del 1626 è impegnato nella compagnia ducale assieme ai Cecchini e agli Andreini. L’anno successivo annuncia una tournée alla corte imperiale, poi fallita a causa di una grave malattia che colpisce il comico durante l’autunno. È questo l’ultimo progetto teatrale di Arlecchino: il 1 marzo del 1630, nella sua casa mantovana in contrada del Mastino, Martinelli muore «di febre et cataro in 2 giorni» (Atto di morte di Tristano Martinelli, 1 marzo 1630, Mantova, Archivio di Stato, Necrologi, vol. 33, c.n.n.).
|