La tournée prosegue poi per l’Inghilterra, dove Drusiano e i suoi compagni ottengono licenza per recitare almeno dal gennaio alla quaresima del 1578: «to the Lord Maiour of London to geve order that one Drusiano, an Italian, a commediante and his companye, may playe within the Cittie and Liberties of the same between this and the firste weeke in Lent» (Licenza del Lord Major di Londra alla compagnia di Drusiano Martinelli, Londra, 13 gennaio 1578, in J.R. Dasent, Acts of the Privy Council of England, New Series, H.M. Stationery Off., London 1895, vol. X, p. 144).
Una volta conclusa la missione nel nord, Drusiano e Tristano ritornano a Mantova. Non possediamo però notizie sulla loro attività fino al 1584, anno in cui li troviamo a Parigi assieme alla primadonna Angelica Alberghini, moglie di Drusiano, sposata probabilmente qualche anno prima. A differenza delle successive tournées francesi, in questo caso non vi è traccia di trattative tra le corti, né di particolari direttive da parte del ducato mantovano. È perciò probabile che l’intensa migrazione dei comici italiani a Parigi nel biennio 1584-1585 sia avvenuta al di fuori di un preciso piano dei protettori, per spontanea iniziativa dei singoli attori. Il gruppo mantovano guidato dai Martinelli sarà stato senz’altro attratto dalla prospettiva di guadagni migliori rispetto al mercato italiano, dove la loro formazione risultava essere, in ordine di importanza e considerazione, soltanto la terza, dopo i Gelosi guidati dagli Andreini e i Confidenti di Vittoria Piissimi. Presumibilmente, una volta a Parigi, Drusiano, Tristano e Angelica, si aggregano a pattuglie di attori già presenti in città, dando vita di volta in volta a combinazioni di cast estemporanee. Oltre a loro, risultano presenti a Parigi Bernardino Lombardi, Fabrizio de Fornariis, Bartolomeo Rossi, Battista e Vittoria degli Amorevoli e Gabriele Panzanini. La generica denominazione di «Confidenti» con cui la critica tradizionale ha identificato il pulviscolo di attori presenti in Francia in questi anni è probabilmente da intendersi non come una formazione comica a tutti gli effetti, ma piuttosto come una sigla illustre di cui gli attori si fregiarono liberamente per ottenere maggior prestigio.
È nel corso di questo fortunato soggiorno francese che Tristano, sotto la guida attenta e consapevole del più maturo Drusiano, inventa la maschera di Arlecchino. Il personaggio più celebre dell’intera parabola della Commedia dell’Arte sembra nascere in primis come reazione al pesante clima di paura e diffidenza creatosi attorno ai comici italiani in Francia. Anziché cercare, al pari dei loro compagni di avventure, un riscatto morale attraverso la pubblicazione di opere letterarie che potessero nobilitare il proprio mestiere, Tristano e Drusiano decidono di cavalcare lo scandalo. Alle critiche e alle censure di moralisti, bigotti e benpensanti che accusavano gli attori italiani di essere diavoli, prostitute, corruttori della carne e dello spirito, rispondono inventando un personaggio che rappresenta l’incarnazione più compiuta ed estrema di queste stesse accuse. Prima di tutto, il nome. Arlecchino altro non è che l’arrangiamento di nomi provenienti dal folclore nordico, di personaggi che consolidate leggende popolari pongono a capo di masnade infernali composte da fantasmi e diavoli, anch’essi mascherati, osceni e rumorosi, provenienti dalle viscere della terra, dagli inferi, da indefiniti e terrificanti aldilà. La caratteristica di estremo apolide, proveniente da non-luoghi posti ai confini del mondo, è ulteriormente sottolineata dal linguaggio scenico: Tristano sceglie per Arlecchino una non-lingua, un pastiche di mantovano, latino, francese, spagnolo, dando vita a cacofonie, allitterazioni e onomatopee. Il costume infine, al contrario di quello degli altri zanni, è leggero e aderente, costruito apposta per favorire salti e capriole e mettere in risalto l’esplosiva muscolatura di Tristano, accentuando di conseguenza quella sensualità e quell’erotismo così contestati dai detrattori francesi.
La fortuna di Arlecchino è immediata e travolgente. Lo straordinario successo è testimoniato in particolare dalla celebre querelle che nel 1585, sempre a Parigi, si scatena attorno al neonato personaggio. Un attore francese, forse Gros Guillaume, pubblica un libello molto aggressivo in cui Arlecchino è presentato come un demonio che, per ottenere la nomina di Signore dei Ruffiani, accetta di ricondurre dagli inferi alla terra il fantasma di Madame Cardine, celebre tenutaria di bordelli parigini (Histoire plaisante des Faicts et Gestes de Harlequin Commedien Italien, Paris, Millot, 1585). La risposta di Arlecchino non si fa attendere. Con un nuovo libello Tristano capovolge le accuse del comico detrattore, in cui quest’ultimo è presentato come figlio di Madame Cardine, costretto alla fine a chiedere perdono e a confessare di aver composto il precedente pamphlet su commissione, a pagamento, per sfuggire alla fame (Astrologie nouvelle recreative et plaisante du seigneur Harlequin, foglio unico, s.d., Nürnberg, Germanisches Nationalmuseum, HB 2023).
L’acuirsi delle tensioni religiose tra cattolici e ugonotti e una durissima carestia nelle campagne francesi, costringono gli attori italiani ad abbandonare Parigi, probabilmente tra la fine del 1585 e i primi mesi del 1586. Ritroviamo Tristano, assieme a Drusiano e Angelica, nel 1587, ancora all’estero, stavolta a Madrid, dove il 18 novembre ottengo licenza per rappresentare i loro spettacoli. Assieme a loro in compagnia sono presenti una certa Angela Salamona e Franceschina, forse Battista Amorevoli, anch’egli a Parigi negli anni precedenti, o forse Carlo De Vecchi, che troveremo più avanti assieme ai Martinelli. Nel documento la compagnia di Tristano e Drusiano è chiamata «los Confidentes»: probabilmente ancora una sigla fittizia, utilizzata dai comici italiani per sfruttare i recenti successi francesi (Licenza a Drusiano Martinelli, Madrid, 18 novembre 1587, Madrid, Archivo Historico de Protocolos, tomo 24844, cc. 233v-234r, in Cristobal Pérez Pastor, Nuevos datos acerca del histrionismo espanol en los siglos XVI y XVII, Madrid, Imprenta de la Rivista Española, 1901, pp. 19-23).
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