Nei panni di Nina, ovvero di una ragazza maltrattata e precipitata nella disperazione per opera di uno sfruttatore, la Cortese ha «accenti di una spontanea e sofferta forza drammatica» (e.p. [Eligio Possenti], El nost Milan di Carlo Bertolazzi, in «Il corriere della sera», 1 novembre 1961) ed è poi di una «forte drammaticità» nel 1965, quando interpreta la Regina Margherita nel Gioco dei potenti di William Shakespeare (Eligio Possenti, Il gioco dei potenti, in «Il Dramma», giugno-luglio 1965). È tuttavia il personaggio della Contessa Ilse nei pirandelliani Giganti della montagna (1966) quello in cui si vedrà di più rispecchiata: la parte di Ilse, si legge sul «Tempo», «sembra fatta per lei, anzi, più esattamente, lei è fatta per la parte. Dire che l’ha vissuta è dir poco: ci è stata dentro come una medusa in un acquario, assorbita dall’aria stregonesca, in cui anche la finzione recitativa diventava vera, e la verità decollava verso la fantasia. Ha continuato a vivere nell’incantesimo, anche sotto il fuoco degli applausi, come una medium che lentamente esca di trans, e finalmente gli applausi, che erano molti, l’hanno restituita alla nostra realtà quotidiana» (Giorgio Prosperi, Con «I giganti della montagna» Strehler fa il punto su se stesso, in «Il Tempo», 27 novembre 1966).
Ormai è una diva che sul palcoscenico, come anche nel cinema (dove ormai accetta di tratteggiare dei camei creati su misura per lei), interpreta variazioni sul tema di se stessa. Già nel 1965, per esempio, Federico Fellini, nel suo Giulietta degli spiriti, le aveva affidato la parte di Valentina, ovvero la svampita, manierata, capricciosa ed eccentrica amica della protagonista: un personaggio estroverso, snob, istrionico, intellettualistico, amante della compagnia, delle feste, del paranormale. Si tratta, in definitiva, della parodia di una diva, e quindi, esatto opposto della confusa e impacciata protagonista (Giulietta Masina), di una specie di anti-Giulietta, che la Cortese interpreta con molto senso dell’umorismo, del surreale e del paradossale. Al contrario di lei, però, non ama molto gli aspetti cerebrali del Novecento: ama la natura, la poesia, le gozzaniane «piccole cose di pessimo gusto», le luci soffuse. Non è un caso che il personaggio teatrale da lei preferito, cui però non riuscirà mai a dare vita, è la fragile, delicata Blanche di A Streetcar named Desire (Un tram che si chiama Desiderio) di Tennessee Williams.
Diversa dalla sognante attrice giovane che era stata fino al dopoguerra, e anche dalla misurata attrice trentenne, votata alle piccole parti di donne infelici, che era stata verso la metà degli anni Cinquanta, la Cortese degli anni Sessanta e Settanta attraversa ormai la fase “manierista” della propria arte: languida e floreale come una diva degli anni Dieci, nello stesso tempo è nervosa ed emotiva, apparentemente ricercata e studiata eppure, in scena o sul set, naturale come nella vita.
«La Ilse individuata da Strehler sul testo di Pirandello e affidata a Valentina Cortese - scrive Roberto De Monticelli a proposito dei Giganti della montagna - vuol ripetere, con felicissimo intuito, un’immagine-simbolo della Duse, la Duse degli ultimi anni, pellegrina della sofferenza interpretativa fra gli uomini - i giganti - dell’altro dopoguerra; e l’attrice assolve con melodiosa efficacia il difficile compito» (Roberto De Monticelli, Il sipario di ferro stritola la carretta della poesia, in «Il Giorno», 27 novembre 1966). Valentina Cortese, si legge poi sul «Messaggero», «ci dà una Ilse trasognata, consumata da un fuoco e da una fede di martirio, dietro alla quale sembra di intravedere l’immagine di una grande attrice d’epoca» (Renzo Tian, Nei «Giganti della montagna» il mito della poesia e del teatro, in «Il Messaggero», 27 novembre 1966).
Nella seconda metà degli anni Sessanta, accetta piccole parti in qualche film di genere (lavora, per esempio, con Mario Bava e Riccardo Freda) e, dopo essere stata, in teatro, la protagonista del Processo di Giovanna d’Arco a Rouen - 1431 di Bertolt Brecht e Anna Seghers, per la regia di Klaus Michael Grüber, nel 1970, di nuovo diretta da Strehler, è Giovanna Dark nella brechtiana Santa Giovanna dei Macelli (la prima alla Pergola di Firenze nel luglio del 1970). Un personaggio che la Cortese, mantenendosi in un delicato equilibrio fra straniamento e partecipazione, riesce a interpretare con distacco e nello stesso con umanità: fredda e fragile nello stesso tempo. Tenente dell’esercito della salvezza che parla di vita celeste, predica la non violenza, poi da sola, prima di morire, rinnega il suo misticismo e grida che «solo la violenza può servire dove regna la violenza», Giovanna viene infine proclamata santa da tutti i capitalisti che l’hanno praticamente sconfitta e uccisa: «io amo Brecht perché porta messaggi importanti ma soprattutto perché è un grande uomo di teatro, un grande poeta, - dirà l’attrice nel corso di un’intervista - non è che sulla scena facciamo i comizi, Brecht fa della poesia una realtà agghiacciante» (Costanzo Costantini, Valentina Cortese, in id., Le regine del cinema, Roma, Gremese, 1997, p. 51).
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