Le opere scarpettiane della fine degli anni Novanta mostrano la sostanziale coerenza con la precedente articolazione del repertorio (cfr. Vittorio Viviani Scarpetta, in Enciclopedia dello Spettacolo, Roma, Le Maschere, 1961, vol. VIII, col. 1574). Molte riprese, ancora molte riduzioni dal francese, parodie di stampo sancarliniano (La Bohême, 1896), riviste (Allegrezze e guaie, 1896) parodia dei nuovi generi spettacolari (Fregoli in sogno, interpretato con successo da Vincenzo, 1897) e qualche rara sua commedia originale.
Nel 1897 riprese in compagnia Raffaele De Crescenzo e sua figlia Corinna. Furono anni di frequenti spostamenti da un teatro all'altro di Napoli, oltre alle consuete sortite per un mese o due al Teatro Valle di Roma e al Piccini di Bari finché Scarpetta decise di fermarsi e firmò un contratto quadriennale al Teatro Fiorentini di Napoli, dal 1898 al 1902, con una compagnia di circa venti attori fra cui: Vincenzo Scarpetta, i due De Crescenzo, Gennaro della Rossa, Antonio Mancini, Vincenzo e Giuseppina Bianco, Rosa Gagliardi, le sorelle Arola, Ersilia Pappalardo e la gloriosa figura di Davide Petito. Prima dell'apertura del Fiorentini fece pubblicare un avviso in cui dichiarava che per la prima volta, dopo la scomparsa del San Carlino, i napoletani stavano per riavere la «Casa dell'arte comica» e preannunziava un repertorio misto di lavori originali, riduzioni dal francese e riedizioni «dell'antico repertorio Sancarliniano e quindi rivivranno: Orazio Schiano, Filippo Cammarano e Pasquale Altavilla» (Edoardo Scarpetta, Cinquant'anni, cit., p. 220).
Tanto bastò per riaccendere una polemica con gli autori del nuovo teatro dialettale napoletano mai sopita ma che da questo momento si fece sempre più intensa con articoli decisamente antiscarpettiani sul «Giornale d'Italia» del Bergamini: Scarpetta veniva accusato di non lasciar spazio sufficiente ai nuovi autori per affermarsi. In effetti le proposte del Fiorentini continuavano a rincorrere la richiesta di divertimento da parte del pubblico, al quale continuavano a piacere le riduzioni dal francese – principale bersaglio delle polemiche del nuovo teatro d'arte dialettale – e Scarpetta continuò a produrne in grande quantità e in certi casi con notevole riscontro di pubblico, come nel caso della Pupa movibile (1899) che ebbe quasi cento repliche consecutive. Nel profluvio delle riduzioni si segnalarono, tuttavia, alcune composizioni sintomatiche degli orizzonti della maturità drammaturgica scarpettiana: come i singolari accenti drammatici in Il debutto di Gemma (1901). De Filippo affermò che questo atto unico fu scritto per la figlia di Pantalena, ma nel catalogo di Vittorio Viviani compare anche 'A Figlia 'e Don Gennaro (1900) operina contemporanea dell'ennesimo, quanto breve, rientro di Gennaro Pantalena in compagnia. 'O Balcone 'e Rusinella (1902) è pur sempre una riduzione, ma secondo Vittorio Viviani costituisce una delle sue «più importanti» commedie per aver trovato un'originale soluzione espressiva libera sia dai cliché comici francesi sia da quelli sancarliniani (Vittorio Viviani Scarpetta, in Enciclopedia dello Spettacolo, cit., col. 1577). Viviani e Vanda Monaco individuano, infine, in 'O Miedeco d' 'e pazze, il lavoro più significativo degli ultimi anni: si tratta ancora di una riduzione ma del tutto riassorbita all'interno di una cifra espressiva originale centrata su di un Felice svagato e problematico.
Questa commedia fu rappresentata da Scarpetta al Teatro Sannazaro nel 1908, nel momento culminante della battaglia legale intentatagli da Marco Praga, direttore della Società Italiana degli Autori e da Gabriele D'Annunzio, a causa della parodia che Scarpetta aveva composto sulla dannunziana Figlia di Iorio. L'opera di Scarpetta si intitolava Il Figlio di Iorio e venne rappresentata al Mercadante il 3 dicembre 1904; fu, però, interrotta all'inizio del secondo atto da un'incontenibile manifestazione di dissenso tale da costringere il capocomico ad abbassare la tela e disdire le repliche. Dalla iniziale querela si passò all'accusa di contraffazione: il giudice istruttore convocò i periti: dalla parte dell'accusa si schierarono Salvatore Di Giacomo, Giulio Massimo Scalinger, Roberto Bracco; dalla parte di Scarpetta: Giorgio Arcoleo e Benedetto Croce. Il processo si svolse tra il 1906 e il 1908 (con vari avvocati fra cui Spirito e Simeoni) al termine del quale Scarpetta venne finalmente scagionato. L'esperienza, però, lo indusse ad abbandonare le scene poco tempo dopo, nel 1910, benché godesse ancora di largo seguito. Impose al figlio Vincenzo di sostituirlo nella direzione della compagnia nella quale avevano già debuttato sia Maria Scarpetta, sia Titina De Filippo (Miseria e nobiltà) sia il piccolissimo Eduardo De Filippo (come comparsa nella parodia La Geisha del 1905).
Eduardo Scarpetta recitò per l'ultima volta in 'O Miedeco d' 'e pazze, nel 1910, senza annunciare il suo addio alle scene (Roberto Minervini, I due Scarpetta, in Tiempe bielle 'e 'na vota, Napoli, Officine dell'arte tipografica, 1982, p. 28). A detta della figlia Maria, Scarpetta calcò ancora le scene, all'insaputa di tutti, aggiungendosi al gruppo di comparse in una ripresa di Lili e Mimì del 1911, con il volto celato da un cappello e dal bavero rialzato del cappotto: forse qualcuno tra il pubblico lo riconobbe (Maria Scarpetta, Felice Sciosciammocca mio padre, Napoli, Morano, pp. 124-125).
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