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La redazione è a disposizione dei titolari di eventuali diritti d'autore per discutere i riconoscimenti del caso.

 

 


 

«Archivio Multimediale degli Attori Italiani», Firenze, Firenze  University Press, 2012.
eISBN: 978-88-6655-234-5
© Firenze University Press 2012

Attore > teatro
NomeEduardo
CognomeScarpetta
Data/luogo nascita13 marzo 1853 Napoli
Data/luogo morte29 novembre 1925 Napoli
Nome/i d'arte
Altri nomi
  
AutoreIsabella Innamorati (data inserimento: 06/09/2012; data aggiornamento: 15/05/2023)
Eduardo Scarpetta
 

Sintesi | Biografia| Famiglia| Formazione| Scritti/Opere| Testo completo

 

Interpretazioni/Stile

Secondo gli studi più recenti, Eduardo Scarpetta fu il creatore di Felice Sciosciammocca, un nuovo carattere buffo, assente dalla galleria dei tipi comici napoletani (Antonio Pizzo, Scarpetta e Sciosciammocca: nascita di un buffo, Roma Bulzoni, 2009, p. 114). Nella tradizione teatrale precedente si può incontrare il nome di Felice, o Felicello, in relazione ad una tipologia abbastanza indefinita di giovincelli affamati, o cocchi di mamma, o mariuoli: figure marginali, riconducibili al ruolo del Mamo derivato dalla commediografia di Filippo Cammarano. Fu Scarpetta a estrarlo dall'indefinitezza e assegnargli un profilo da protagonista con una caratterizzazione efficace, esemplata sui propri tratti fisiognomici e temperamentali: vivacità, mimica facciale accattivante, sorprendente creatore di equivoci, gaffes, imbrogli. Felicello Sciosciammocca mariuolo de 'na pizza, andò in scena il 7 giugno 1871. Fu un tipo che riscosse rapidamente consenso e si affermò maggiormente dopo Pulcinella solachianello arrozzuto, ovvero Don Felice Sciosciammocca creduto guaglione de n'anno (1872). Questo nuovo buffo si radicò nell'immaginario cittadino al punto da suscitare ben presto l'emulazione concorrenziale di altri giovani attori nei panni di Felice Sciosciammocca sui vari palcoscenici dei teatrini popolari napoletani, senza però superare l'originale.

La collaborazione in coppia con Antonio Petito, il celeberrimo Pulcinella, la star del San Carlino funzionò da volano per l'affermazione del Felice scarpettiano; ma condizionò anche la definizione originaria dei tratti caratteristici del tipo in funzione del contrasto comico con la maschera. Le farse e le commedie tra il 1872 e il 1873 portarono in luce, infatti, un Felice Sciosciammocca «ebete lezioso» (Roberto Minervini, I due Scarpetta, in Tiempe bielle 'e 'na vota, Napoli, Officine dell'arte tipografica, 1982, p. 31), identificato da una parlata infantilmente distorta, senza "erre", resa ritmica da un intercalare ripetitivo, cantilenante (Antonio Pizzo, Scarpetta e Sciosciammocca: nascita di un buffo, cit., p. 123). È un ragazzino benestante di provincia, ben vestito, mammone, ridicolo e piagnucoloso come ad esempio in Il baraccone delle marionette meccaniche (1872). A volte, però, Petito sperimentò un inedito rapporto paritario con Sciosciammocca facendo emergere i rispettivi tratti comici come in Una seconda educanda di Sorrento (1872) o nella più tarda commedia scarpettiana 'Na commedia de tre atti scritta da D. Felice Sciosciammocca con Pulcinella poeta disperato (1875); a volte, invece, Petito subordinò Sciosciammocca al ruolo di spalla come in 'Nu mbruoglio pe' la Palombella zompa e vola dinta a li braccia de nenna mia (1873). E tuttavia all'interno di questo orizzonte circoscritto, sia pure variato dal progressivo prevalere del carattere amoroso, Scarpetta seppe ridefinire in autonomia il proprio personaggio mediante alcuni tratti temperamentali inconfondibili: l'alienazione dei sani principi e regole borghesi e l'utilitarismo venato di avarizia e cinismo.

Nell'80 il passaggio alla nuova condizione di autore-capocomico-autore-impresario implicò non soltanto la progressiva emarginazione della maschera di Pulcinella, ma anche il superamento dell'originario Sciosciammocca, cominciando a potenziare i tratti emersi negli ultimi mesi di militanza al San Carlino dopo la morte di Petito. Per inaugurare il suo repertorio riformato, ricco di riduzioni francesi ricreate in ambiente e lingua napoletani, scelse Tetillo, da Bebé di Émile De Najac e Alfred-Néoclès Hennequin, già rappresentato in italiano a Napoli, tre anni prima, al Teatro dei Fiorentini. Era una scelta che avrebbe dovuto suggerire una relazione di continuità tra l'immagine cara ai napoletani di Felice Sciosciammocca, giovane mammone, viziatello, con quella nuova di Tetillo e in effetti le analogie tra vecchio e nuovo personaggio non mancavano.

La riduzione venne apprezzata, ma non riscosse il plauso subitaneo delle altre due riduzioni successive, forse a causa della innovativa modalità del finale (privato del consueto saluto al pubblico) oppure per l'innesto poco organico tra la struttura del vaudeville con i contenuti napoletani. Ad ogni modo «Il Pungolo» l'8 settembre 1880, così commentò la prova d'interprete: «Eduardo Scarpetta, nella parte di Tetillo, rivaleggiò coi migliori artisti italiani che, per i primi, ci fecero conoscere Bebé; di più egli ha la naturalezza, il brio, e quella mobilità di fisionomia ch'è tanta parte de' suoi successi» (Tiziana Paladini, Scarpetta in giacca e cravatta, Napoli, Luca Torre, 2000, p. 106). Scioltosi dalla fissità del vecchio tipo comico di marca petitiana, il nuovo Don Felice si rivelò refrattario a qualsivoglia conversione morale e anzi, proprio nel finale, si dimostrava pronto a ricadere comicamente nell'errore dongiovannesco per cui aveva appena fatto ammenda.

La nuova drammaturgia in dialetto presentava ora dialoghi arguti e salaci in luogo dei lazzi e delle improvvisazioni della consuetudine; le situazioni comiche erano recitate con studio e affiatamento da parte di un gruppo di attori all'altezza dei nuovi ruoli, con la conseguente abolizione delle antiche maschere. Anche lo stesso tipo di Felice Sciosciammocca, forgiato durante l'apprendistato petitiano con la necessaria fissità del buffo tradizionale, si sarebbe trasformata in una molteplicità di personaggi comici desunti dalle pièces francesi senza con ciò vanificare l'identità inconfondibile di Don Felice.

 
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