L'autobiografia indugia sull'antipatia infantile del piccolo Eduardo nei confronti della maschera di Pulcinella, premonizione implicita, quanto intenzionale, dell'abolizione delle maschere realizzata poi con la riforma del teatro dialettale. Il fanciullo si deliziava, infatti, con il gioco del teatrino, un piccolo palcoscenico dotato di siparietto e popolato di minuscole marionette riproducenti le varie maschere tradizionali. Tra esse la maschera di Pulcinella era stata irrimediabilmente sfregiata dal bambino perché il volto nero a metà di quel personaggio lo spaventava. Al fine di dissipare questa paura il padre lo condusse al Teatro San Carlino per fare diretta conoscenza con l'interprete di Pulcinella, Antonio Petito: l'idea ottenne i risultati sperati.
L'assidua frequentazione dei teatri in giovane età, favorita dal padre, indusse Eduardo a dedicarsi alla carriera d'attore. Iniziò ad appena quindici anni, dopo una sommaria formazione scolastica alla quale si dovrà pur tuttavia accreditare la familiarità che il giovane manifestò precocemente con la scrittura e la composizione, doti rare nella quasi totalità degli attori suoi contemporanei e che gli furono di grande aiuto specie nella prima fase del suo apprendistato.
La formazione teatrale ebbe inizio con le sue prime scritture presso i teatri San Carlino e poi Partenope tra il 1868 e il 1872. Si tratteneva in palcoscenico dalle otto alle dieci ore, affermò nell'autobiografia, a guardare gli altri attori recitare e provare, rubando con gli occhi, esercitandosi nelle piccole parti che gli erano affidate e rispondendo a tutte le esigenze espresse dalla compagnia.
In effetti le regole d'ingaggio delle sue prime scritture – conformi allo standard prevalente fra le formazioni dell'epoca non soltanto napoletane – erano principalmente finalizzate agli interessi dell'impresa, esigendo dallo scritturato nel ruolo di Secondo generico la più completa disponibilità di fronte a qualsiasi evenienza imposta dal repertorio: dal canto alla danza, dalla recitazione di poche battute in un dramma, o farsa o commedia, alla pantomima fino ad essere sospeso in aria. Regole che imponevano di saper far tutto, non permettendo al giovane attore di scegliere e tanto meno di coltivare il genere nel quale si sentiva più versato e in cui sarebbe poi, semmai, diventato bravo. Scarpetta iniziò pertanto a recitare in parti marginali nelle più diverse mansioni. La varietà degli impieghi richiedeva lo sviluppo di una molteplicità di capacità teatrali e la veloce assimilazione delle tecniche. La vita di compagnia trasmise al giovane l'eredità variegata dei linguaggi scenici tradizionali educandolo all'arte mediante esempi e pratica, costringendolo a capire in qual modo stabilire la comunicazione con il pubblico. Non mancarono dure lezioni, naturalmente, come la sfortunata scrittura presso la compagnia capeggiata da Michele Bozzo partita da Napoli per un corso di recite a Catanzaro, dall'ottobre del 1869 al 4 marzo 1870.
Il soggiorno a Catanzaro fu costellato di brutte figure, dolorose reprimende, fino al licenziamento, sospeso per intervento della moglie del sindaco mossa a pietà dalle condizioni miserevoli in cui si dibatteva il giovanetto. Fu allora incaricato di ricopiare i testi per il suggeritore, la censura e le parti distinte per gli attori, scoprendo in questa incombenza un metodo di grande utilità per l'acquisizione delle tecniche drammaturgiche. Secondo Scarpetta, infatti, la prima vera palestra per l'assimilazione della composizione dell'intreccio e del dialogo consisteva proprio nel continuo ricopiare testi, al punto da indurre il giovane Eduardo De Filippo ad esercitarsi in questa pratica.
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