Anche Rasi descrive alcune battute particolarmente riuscite di Ferravilla mettendo in luce che è però soprattutto la mimica dell’attore a far divertire il pubblico: «[...] quando la signora dice alcuna parola in francese al sur Pedrin, quel comme? di lui, che non ha capito un’acca è una graziosa trovata; quando la prima donna, ormai sulla quarantina, dice al Maester Pastizza di aver ventun anno, quel io ne ho dodici di lui è una graziosa trovata; quando, detto al servitore di togliersi il cappello, el sur Pedrin si sente rispondere: “ma anche lei ha il cappello in capo”, quella sua replica “ma io sono il padrone, ignorante vigliacco” è una graziosa trovata [...]. Il comme del signor Pedrin è ben comico: ma la causa dell’irrefrenato proromper del pubblico in matte risate noi dobbiam ricercare in qualcosa più che nella parola. Quale poema il lungo silenzio che precede quel comme! L’occhio stupido, incerto; l’incerto piegar della testa coll’orecchio e la mente tesi verso la donna che ha parlato, per afferrar qualcosa di quello che ha detto, poi con timidità, con circospezione, con la paura quasi di essere inteso, il proferir di quel comme scivolato, sdrucciolato... ecco ciò che costituisce tal grandezza e finezza di arte da collocar lui fra i primissimi nostri» (Luigi Rasi, Ferravilla, Edoardo, in Id., I comici italiani, Firenze, Bocca-Lumachi, 1897-1905, vol. I, pp. 870-871).
Ferravilla è a tutti gli effetti un “attore-autore”: non solo perchè mette frequentemente in scena commedie di sua stessa produzione che ripropongono i suoi personaggi più riusciti, ma per la costante attività di riadattamento anche dei lavori scritti da altri in funzione della valorizzazione della sua recitazione. Frequentemente personaggi attinti ai testi di altri autori assumono spessore e consistenza solo grazie al suo duplice intervento di drammaturgo e attore. Nel corso delle repliche cesella e riadatta le sue creazioni in base alla risposta del pubblico. Fa inoltre largo uso delle tecniche dell’improvvisazione. Una testimonianza significativa dell’attitudine all’improvvisazione di Ferravilla e della progressiva costruzione dei suoi personaggi è quella di Dina Galli, sua migliore allieva, che ancora bambina affianca il comico milanese in El maestrin sentimental: «La rappresentazione era annunciata e doveva aver luogo la sera e non una prova era stata ancora fatta. Io ero inquieta e mi dicevo: “Cossa disarò peu mi?”. Finalmente qualche minuto prima di andare in scena presi il mio coraggio a due mani e gli feci mezza obiezione: “Le che la ghe pensa no!”. E siccome io lo guardavo stupita, continuò: “Mi sunt un maester che gh’insegni a cantà...”. E non mi disse altro, e il Maestrin sentimental venne fuori. Se non che invece di essere un giovane era un vecchio, che aveva lui pure l’affare della pallottite che la gh’andava su e giò! Alla seconda rappresentazione, che avvenne quindici giorni dopo al Fossati di Milano, Ferravilla mutò il tipo del personaggio, forse perchè gli parve più originale e comico e ne venne fuori El maestrin sentimental» (Arturo Lancellotti, I signori del riso, Roma, P. Maglione, 1942, p. 69).
Alcune battute degli spettacoli di Ferravilla divengono espressioni proverbiali, modi di dire comuni all’epoca. Tra queste quella con cui Tecoppa indica ai compari l’uomo che ha appena derubato per salvarsi dalle sue accuse: “L’ha parlaa mal de Garibaldi”. Alcuni motti poi rimasti celebri sono il frutto di intuizioni estemporanee dell’attore in scena. Tra queste quel “E io non accetto” con cui Tecoppa replicava al Pubblico Ministero che lo condannava a dieci mesi di reclusione: «Questa famosa battuta non nacque con la commedia; vi fu aggiunta improvvisamente, sul palcoscenico, alla quindicesima recita. Essa produsse anche fra gli attori che erano in iscena, una tale ilarità che lo stesso Ferravilla ne fu contagiato. Di ciò non s’accorse il pubblico, chè egli aveva un modo di ridere sulla scena da cui l’ilarità degli ascoltatori, i quali credevano a qualche controscena, era aumentata» (Arturo Lancellotti, I signori del riso, cit., p. 66).
Tra le competenze di cui Ferravilla si serve in scena spiccano quelle musicali. Musicista dilettante per passione, improvvisatore per gli amici, Ferravilla compone anche dei ballabili al pianoforte e pubblica diverse composizioni musicali, tra cui presso Ricordi la marcia Massinelli al veglione legata a uno dei suoi più apprezzati personaggi. In teatro si esibisce come cantante parodistico e nei pezzi musicali dei vaudeville. Una particolare attitudine del comico (esercitata forse soprattutto in gioventù) è inoltre quella dell’imitazione di personalità note. Tra le sue imitazioni vengono particolarmente apprezzate quelle di Cletto Arrighi, di tal Ric?u (venditore milanese di giornali che impreca sempre contro Agostino Depretis) e del padre Filippo Villani (che in un’occasione accetta di comparire in scena al fianco del figlio per far verificare al pubblico la somiglianza).
Edoardo Ferravilla ottiene uno straordinario successo di pubblico e di critica. Riscuote la stima anche di molti uomini “illustri” (tra cui Giuseppe Verdi). L’uso del dialetto milanese, pur italianizzato, non lo rende un attore provinciale, ma anzi conferisce maggiore naturalezza alla sua recitazione e lo differenzia dai caratteristi degli spettacoli in lingua che utilizzano un italiano “artificiale” anche per i personaggi appartenenti al popolo. La sua poliedrica personalità di attore, autore, capocomico e direttore conquista un primato nel genere comico riconosciuto a livello nazionale: «Del Ferravilla si deve dire che è unico. Egli ha creato un genere, senza precedenti [...]. Il Ferravilla ha superato, al nostro tempo, tutti gli artisti del teatro di prosa nella potenza di creazione. Nella miglior parte del suo repertorio egli è autore e attore; sono sue le parole, i caratteri; è sua la concezione dei tipi, sue le arguzie, che, come i tipi, divennero popolari. Non è, come altri attori, anche grandissimi, giunto ad un’alta riputazione ripetendo le cose scritte da altri, riproducendo sempre da altri immaginati tipi. E tutti l’hanno imitato, compreso Ermete Novelli, in ciò che dette di più originale. Senza imparare da alcuno, dotato di un istinto artistico, che par prodigioso, egli è stato maestro a tutti della comicità più fina, più vera, più efficace» (Jarro, Attori, cantanti, concertisti, cit., pp. 108-109).
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