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«Archivio Multimediale degli Attori Italiani», Firenze, Firenze University Press, 2012. eISBN: 978-88-6655-234-5 © Firenze University Press 2012
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Attore > teatro | Nome | Edoardo |  | Cognome | Ferravilla |  | Data/luogo nascita | 18 ottobre 1846 Milano |  | Data/luogo morte | 25 ottobre 1915 Milano |  | Nome/i d'arte | |  | Altri nomi | |  | | |  | Autore | Emanuela Agostini (data inserimento: 15/04/2009) |  |
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Sintesi
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Attore, drammaturgo e capocomico, Edoardo Ferravilla è la più originale personalità del teatro dialettale milanese e, nel repertorio comico, uno dei massimi esponenti della scena italiana tra Otto e Novecento.
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Biografia
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Figlio naturale del marchese Filippo Villani (rappresentante della scapigliatura milanese, dilettante di musica e autore di alcuni testi dialettali), Edoardo Ferravilla nasce a Milano nel 1846. La madre, di cui Edoardo assume il cognome, è Maria Luigia Ferravilla (1824-1853), cantante probabilmente d’origine portoghese. L’identità della donna, sulla quale le fonti riportano notizie contraddittorie, è chiarita dall’autobiografia di Ferravilla pubblicata da Renzo Sacchetti presso la Società Editoriale Italiana (che smentisce anche che fosse una mima o una ballerina) ed è confermata anche dalla biografia curata da Giovanni Maria Sala (che riporta la variante grafica Maria Luisa). In un precedente opuscolo pubblicato da Sacchetti nel 1908 le si attribuiva il nome Clara; nel dizionario di Luigi Rasi quello di Giulia. Motivato dalla volontà di occultare la nascita illegittima dell’attore è il racconto secondo il quale la madre sarebbe stata una certa signora Ferrari, e Ferravilla un nome d’arte prodotto dal congiungimento dei cognomi dei genitori Ferrari e Villani.
Nato da una relazione tra i genitori iniziata nel 1845, Edoardo Ferravilla vive insieme alla madre fino a quando, a pochi anni di vita, è iscritto al collegio milanese Nava. Nel 1853 la madre muore mentre sta effettuando una tournée in Portogallo. Il tribunale costringe Filippo Villani, nel frattempo sposatosi con la ballerina Carolina Say, a elargire al figlio una pensione vitalizia. Il bambino viene affidato alla tutela del ragioniere Giacomo Viglezzi. Il tutore, verso il quale Ferravilla manifesterà per tutta la vita forte gratitudine ed affetto, si comporta a tutti gli effetti come un vero padre. Proprio l’esempio di uno dei fratelli adottivi, Enrico Viglezzi, spinge Ferravilla a impratichirsi con la musica. Anche la passione per il teatro è favorita dalle abitudini della famiglia Viglezzi: il ragioniere è infatti amministratore del Teatro dell’Accademia dei Filodrammatici (o del Teatro Re, chiuso nel 1875) dove possiede un palco dal quale l’intero gruppo familiare è solito assistere agli spettacoli due volte alla settimana.
Come i fratelli adottivi, anche Ferravilla è indirizzato verso studi di ragioneria. Parallelamente, coltiva l’interesse per la recitazione frequentando la filodrammatica Gustavo Modena, che dà spettacoli familiari sotto la guida di Ettore Manzoni. Il suo esordio è nella farsa intitolata La tigre del Bengala di Edouard Louis cui segue in una seconda occasione La donna e lo scettico di Paolo Ferrari. Manzoni individua in Ferravilla un promettente amoroso, ma dopo poche recite il giovane vuole confrontarsi con parti comiche. Proprio a questi anni risale la sua prima rappresentazione di Ciocon de grapa di Giovanni De Toma, al quale Ferravilla si ispirerà in seguito per ideare il personaggio di Tecoppa.
Alla morte del tutore, Ferravilla continua a lavorare nell’ufficio di Enrico Viglezzi come ragioniere. Giunto alla maggiore età è riformato dal servizio militare per gracilità. Dedica al teatro buona parte del tempo libero, partecipando agli spettacoli della filodrammatica e frequentando appassionatamente come spettatore il Teatro di Santa Radegonda nei pressi del Duomo.
Nel 1870 quando Carlo Righetti, poi più noto come Cletto Arrighi, annuncia l’intenzione di formare una nuova compagnia residente presso il nuovo Teatro Milanese, Ferravilla si presenta ai provini. Arrighi lo sceglie per il suo aspetto elegante pensando di impiegarlo come amoroso. Scritturato per 3,50 lire al giorno di paga il giovane Ferravilla si trova per la prima volta inserito in una formazione professionale, ma il contratto, che lo impegna solo nel pomeriggio, gli consente di continuare a lavorare al mattino in ufficio e di recitare nella filodrammatica Gustavo Modena la sera e la domenica.
Secondo gli accordi presi, l’esordio di Ferravilla nel Teatro Milanese sarebbe dovuto avvenire nella commedia I trii C e i trii D del bon gener in cui Arrighi avrebbe confezionato su sua misura la parte di un collegiale distinto, serio e innamorato. La necessità di una sostituzione anticipa il dubutto all’ottobre del 1870 nella parte di Gervasin nel Barchett de Boffalora traduzione in dialetto milanese di Arrighi del vaudeville di Eugene Labiche La cagnotte. Pare che l’esito dello spettacolo sia stato disastroso. Se non in questo frangente, nelle seguenti prove Ferravilla deve essere stato sufficientemente convincente, perchè dopo non molto tempo è assunto regolarmente dal Teatro Milanese e l’incremento di orario lo costringe ad abbandonare il lavoro di ragioniere.
Su sua richiesta il tipo di parti in cui si cimenta si allarga: in Ona notizia falsa di Giovanni Duroni è un marito beone, nel dramma di Carlo Righetti Teresa fa le veci del primo attore (il suo personaggio muore in scena). Tra le interpretazioni che maggiormente impressionano il pubblico si ricordano quelle del commissario di polizia in Le ultime ore di Agesilao Milano di Francesco Giarelli e del panciuto margravio di Hassia-Kassel in El Granduca di Gerolstein di Cletto Arrighi. Il successo di queste esperienze conferma Ferravilla nel proposito di darsi interamente al teatro. Inizia inoltre a occuparsi anche dell’adattamento dei testi e della stesura di testi leggeri: la farsa Vun che va, l’alter che ven di Ferravilla è replicata per diverse sere anche grazie alla bravura di Carlo Gandini.
Il talento attorico di Ferravilla si rivela in completezza nell’ottobre del 1872 nella commedia di Righetti Nôdar e perucchee. Ferravilla ha il compito di interpretare la breve parte di Pedrin Bustelli, giovinotto molto timido. Per mettere in maggiore risalto il personaggio, in accordo con Righetti, Ferravilla aggiunge nuove battute. El sûr Pedrin è il primo di una lunga serie di personaggi caratteristici, di “tipi”, che Ferravilla inventa nell’arco di un decennio (dal 1872 al 1880 circa) e, in virtù della bravura dell’attore, vengono riproposti in più spettacoli. Il successo di Pedrin Bustelli induce immediatamente Ferravilla a scrivere una nuova commedia dedicata al personaggio: El sûr Pedrin in quarella (rappresentata per la prima volta il 2 dicembre 1872). Nei mesi successivi la compagnia replica continuamente i due lavori insieme anche al vaudeville, musicato da Cesare Casiraghi su libretto di Ferdinando Fontana, La statoa del sûr Incioda in cui Ferravilla, che ha ormai ottenuto il privilegio di scegliersi la parte, veste i panni del protagonista, il sindaco Finocchi, altra memorabile “creazione” della sua carriera.
Il primato artistico di Ferravilla è in breve riconosciuto da un cospicuo aumento di paga: inizia in questo modo un percorso che lo porterà a divenire indiscusso capo carismatico della formazione. Intorno al 1874 le condizioni economiche della Compagnia del Teatro Milanese, pur apprezzata dal pubblico, peggiorano notevolmente. Gli attori iniziano a essere pagati con molti giorni di ritardo. La situazione è imputata alla cattiva amministrazione di Cletto Arrighi che sperpera buona parte dei guadagni al gioco. L’ingresso in compagnia di Emma Ivon, rapidamente divenuta prima attrice, contribuisce a seminare il malumore tra alcuni attori che si ritengono scavalcati dall’ultima arrivata. La crisi è tale che nel 1876 Arrighi è estromesso dalla direzione del Teatro Milanese. La maggior parte degli attori (tra cui Emma Ivon, Giuseppina Giovannelli, Ernesta Comelli, Antonio Dassi) confluisce nella Ferravilla-Sbodio-Giraud, società di proprietà dei capocomici Edoardo Ferravilla, Gaetano Sbodio e Edoardo Giraud, amministratata da Giuseppe Telamoni e diretta da Ferravilla. La compagnia esordisce al Teatro Cressoni di Como per poi trasferirsi a Milano al Fossati e alla Commenda. La morte di Telamoni non ferma il progetto e Ferravilla assume anche la carica di amministratore: nel giro di pochi anni per merito della sua superiorità artistica e delle competenze organizzative e amministrative (senz’altro consolidate dagli anni di ragioneria) Ferravilla diviene il ganglio fondamentale del Teatro Milanese.
Sotto la conduzione di Ferravilla, la Ferravilla-Sbodio-Giraud si propone a livello nazionale. Nel primo anno comico recita a Milano, Lodi, Napoli, Genova, Torino, Firenze, Roma, Bologna, Brescia, Padova e Verona. Il progetto artistico della compagnia, che per essere compresa da un bacino di pubblico più ampio italianizza il dialetto, oltrepassa ora i confini del teatro milanese per affacciarsi alle maggiori “piazze teatrali” italiane, dove Ferravilla è riconosciuto tra i maggiori attori comici in assoluto.
Nel 1877 Emma Ivon, con cui Ferravilla instaura una lunga relazione sentimentale, chiede e ottiene di divenire socia della ditta. In quello stesso anno però, coinvolta in un processo giudiziario legato al riconoscimento di una figlia avuta da un precedente legame affettivo, su consiglio di Ferravilla si allontana temporaneamente dalle scene. La Ferravilla-Ivon-Sbodio-Giraud continua nel frattempo ad esibirsi con grande profitto nei principali teatri italiani. Ad agosto, per esempio, si esibisce con profitto al Sannazaro di Napoli.
Nel 1879 la compagnia riconosce a Ferravilla, gravato dei compiti di capocomico, direttore e amministratore, un cospicuo aumento di paga. Il successo del gruppo è dovuto soprattutto al suo “genio” sia sul piano attorico sia su quello più complessivamente drammaturgico, come ammette lo stesso Edoardo Giraud: «avevamo avuto anche noi [attori della compagnia] i nostri quarti d’ora di celebrità, ma non importa, il pubblico non ci badava più che tanto, non vedeva che Ferravilla ed io per primo non posso dargli torto, perchè non era più il teatro milanese che noi rapresentavamo [sic], bensì il teatro Ferravilliano» (Edoardo Giraud, Le mie memorie, Milano, Reggiani, 1911, p. 72).
Gli anni Ottanta decretano la definitiva consacrazione di Ferravilla sul piano nazionale. La creazione dei personaggi per cui Ferravilla è rimasto celebre non travalica il 1880: nel decennio successivo l’attore continua a riproporli perfezionandoli in vecchi e nuovi spettacoli. Tra le esibizioni più significative si ricorda nel 1880 quella in cui il comico milanese recita insieme a Edoardo Scarpetta in un testo, scritto dall’attore napoletano in occasione della sua tournée a Milano, Nu maestro Pastizza a Napule. Identiche manifestazioni di affetto sono tributate a Ferravilla dal pubblico milanese come da quello di tutti i principali teatri d’Italia. Dalle colonne del quotidiano fiorentino «La Nazione», ad esempio, il 15 aprile 1886 Jarro descrive in termini sensazionalistici la lotta degli spettatori per procurarsi il biglietto dei suoi spettacoli e, per rimarcare la smodato apprezzamento del comico, afferma che in meno di quindici giorni Ferravilla ha ricevuto quarantadue proposte di matrimonio (cfr. Jarro [pseudonimo di Giulio Piccini], Attori, cantanti, concertisti, acrobati, Firenze, Bemporad, 1898, p. 105). Nel 1888 le istituzioni riconoscono ufficialmente la qualità del lavoro di Ferravilla con la nomina, conferita da re Umberto di Savoia, a Cavaliere della Corona d’Italia.
Nel 1890 la compagnia milanese è colpita da alcuni gravi lutti tra cui, il 12 aprile, quello di Giuseppina Giovanelli. Nel 1891 Gaetano Sbodio fuoriesce dalla formazione per fondarne una nuova insieme a Davide Carnaghi. La decisione di Sbodio, che priva Ferravilla di un valido elemento, è affatto definitiva: la Ferravilla-Ivon-Giraud torna a fregiarsi della sua presenza tra i capocomici nel 1894 per poi vederlo nuovamente uscire nel 1895, e ancora successivamente rientrare e andarsene.
Nel 1897 stanco della gestione capocomicale e del Teatro Milanese che aveva in affitto da ventuno anni, Ferravilla accetta la proposta di dirigere una compagnia di proprietà altrui e si trova al vertice della Compagnia milanese di Francesco Grossi e Alfredo De Capitani. Grossi si ritira dal progetto solo dopo pochi mesi e Ferravilla resta scritturato dal solo De Capitani (cfr. Enrico Polese Santarnecchi, Edoardo Ferravilla, Milano, Tip. Colombo e Tarra, 1898, p. 31). La scomparsa di Ernesta Comelli e soprattutto di Emma Ivon, ritiratasi a Genova già nel giugno 1898 e morta il 30 gennaio 1899, costituiscono una dolorosa perdita sia sul piano artistico sia su quello affettivo.
Tra il 1898 e il 1905, Ferravilla alterna l’attività teatrale a periodi di riposo. Nel maggio 1902 dà il suo addio alle scene, ma il ritiro definitivo si verifica nel 1905. Lontano dai clamori del teatro, gode i proventi di una ricca carriera dividendosi tra Milano e Desio, località in cui possiede una villa e nella quale sceglie di essere sepolto. L’oculatezza con cui aveva amministrato i suoi averi (e che gli aveva procurato la fama di avaro) gli consente di vivere gli ultimi anni in un certo agio. Si dedica alla pittura. Fin dalla giovinezza aveva sempre avuto una passione per il disegno, in particolare per le caricature che disegnava ovunque, compresi i corridoi dei teatri in cui passava. I suoi quadri, i suoi acquarelli e alcuni cimeli, sarebbero divenuti oggetto di una mostra dal titolo La famiglia meneghina (24 gennaio-22 febbraio 1939).
Occasionalmente rompe il suo ritiro per tornare alle scena. Nel maggio 1909 effettua ad esempio una serie di repliche al Teatro Olympia di Milano (cfr. «Il Teatro drammatico», 27 maggio 1909). Intorno al 1912 accetta di fare una serie di spettacoli in alcune città dell’Emilia organizzate per conto dell’impresa Francesco Parenti insieme a Edoardo Giraud. Nel 1914 filma alcuni suoi passati successi (La Class di asen, El Duell del sûr Pànera e Massinelli in vacanza) per la casa Musical Film di Luca Comerio. Secondo gli estimatori dell’attore quei pochi metri di pellicola (che Giovanni Maria Sala nel 1946 considera perduti) non rispecchiano la sua arte sia perchè il cinema è muto, sia perché non dà la percezione delle continue mutazioni d’aspetto di Ferravilla, sia perché (e soprattutto) perché Ferravilla è ormai anziano.
Il grande comico milanese si spenge nell’ottobre 1915 (l’Enciclopedia dello spettacolo riporta erroneamente la data del 26 ottobre 1916). Circa un mese prima, il 13 settempre 1915, era stato convinto a sposare la compagna Francesca Remolli da cui aveva avuto tre bambine: Emma, morta a tre anni, Maria e Luisa. La sua morte passa relativamente inosservata a causa della guerra. È sepolto a Milano presso il Cimitero monumentale.
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Famiglia
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Il padre di Ferravilla è il marchese Filippo Villani, esponente della scapigliatura milanese minore, dilettante di musica e autore di alcuni testi teatrali dialettali. La madre, il cui nome proprio è stato individuato in Maria Luigia Ferravilla, è una cantante probabilmente d’origine portoghese. A seguito della sua morte, Ferravilla riceve dal padre, nel frattempo sposatosi con la ballerina Carolina Say, una pensione vitalizia e viene affidato a Giacomo Viglezzi. Alla famiglia Viglezzi va riconosciuto il merito di aver contribuito a far appassionare Ferravilla al teatro grazie alla consueta frequentazione del Teatro Re (o del Teatro dell’Accademia del Filodrammatici) di cui Viglezzi è amministratore. L’esempio di Enrico Viglezzi, figlio di Giacomo, spinge inoltre Edoardo Ferravilla a interessarsi di musica.
Compagno della prima attrice Emma Ivon per circa un ventennio, dopo la sua morte Edoardo Ferravilla si accompagna con Francesca Remolli da cui ha tre bambine: Emma, morta a tre anni, Maria e Luisa. Sposa la compagna in punto di morte nel 1915. Combattutto tra la volontà di tenere vicino a sé le figlie e quella di allontanarle dal teatro, il comico milanese le impiega probabilmente in piccole parti solo occasionalmente. La maggiore, Maria, ricorda di aver cantato all’età di cinque anni al termine di uno spettacolo del padre la romanza scritta dal padre Non è la morte che ci divide. Sembrerebbe che entrambe le figlie si siano occupate di teatro in gioventù. Una Luisa Ferravilla milita nel 1928 nella Compagnia Stabile Milanese di Paolo Bonecchi. Nel 1939 (all’epoca della mostra La famiglia meneghina in cui erano esposti quadri e cimeli ferravilliani) Maria risulta sposata all’industriale Elio Gnugnoli e Luisa al pittore bergamasco Arturo Bonfanti.
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Formazione
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Nelle biografie di Ferravilla si sottolinea sempre che la sua arte è del tutto nuova, senza precedenti. Ferravilla non è un figlio d’arte, né si ritiene allievo di un maestro privilegiato. Tra i suoi modelli d’infanzia si colloca certamente Alamanno Morelli che Ferravilla aveva avuto modo di vedere con ammirazione al Teatro Re di Milano. Muove i suoi primi passi nella filodrammatica “Gustavo Modena” sotto la guida di Ettore Manzoni. È forse questa l’esperienza che più di ogni altra lo induce a tentare la carriera drammatica. Pur avendo preso parte anche a spettacoli di impatto drammatico, il repertorio sul quale Ferravilla si cimenta fin negli anni della giovinezza è di impronta prevalentemente comica.
Altra personalità verso la quale Ferravilla contrae un debito, pur senza mai dichiararlo, è certamente Cletto Arrighi, drammaturgo e direttore del Teatro Milanese. Cletto Arrighi intuisce il potenziale di Ferravilla al quale lascia un’ampia libertà di iniziativa consentendogli di rimaneggiare e integrare i suoi testi per ampliare le proprie parti.
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Interpretazioni/Stile
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Elegante e fisicamente prestante, nel 1870 il giovane Ferravilla è scritturato da Cletto Arrighi come amoroso per il suo aspetto piacevole che in seguito avrebbe potuto fare di lui un primo attore. Insoddisfatto dalle parti assegnate da Arrighi e attratto piuttosto dai personaggi comici, Ferravilla si offre di interpretare le poche battute del caratteristico margravio di Hassia-Kassel in Il Granduca di Gerolstein. L’accoglienza ricevuta in questa prova lo motiva ancora più fortemente a specializzarsi nelle parti comiche. La completa rivelazione del suo talento si verifica nell’ottobre 1872 in Nodar e perucchee di Arrighi. Per incrementare la sua parte Ferravilla scrive delle nuove battute: prende corpo in questo modo il personaggio del Sûr Pedrin, un giovanotto timido, ingenuo e stupido, preso in giro dalle donne di cui s’innamora. Per intervento di Ferravilla la scialba figura di contorno ideata da Arrighi diviene un’irresistibile parte da mamo. Per ripeterne il successo, Ferravilla scrive nuove commedie che ruotano nuovamente intorno allo stesso personaggio: Pedrin in quarella e Pedrin ai bagn. Una quarta commedia, Pedrin in coscrizion, è invece scritta per Ferravilla da Antonio Dassi.
Il Sûr Pedrin è il primo di una serie di personaggi caratteristici che Ferravilla idea tra il 1872 e il 1880 e ripropone continuamente, in spettacoli diversi, nel corso dell’intera carriera. La successiva fama dell’attore si fonda proprio sull’aver portato al successo circa dodici “tipi”, “caratteri”. Al Sûr Pedrin si affianca, sempre nel 1872, “el sindech Finocchi”, protagonista del vaudeville, musicato da Cesare Casiraghi su libretto di Ferdinando Fontana, La statoa del sur Incioda. Finocchi è un sindaco stupido che «vorrebbe fare l’astuto, crede di essere un grand’uomo», ma non lo è e non manca al contrario di dar prova dell’irrazionalità del suo pensiero. Ad esempio: «[...] quando la statua di Paolo Incioda è scomparsa dal piedistallo grida un "alto là" come avrebbe potuto gridarlo Napoleone il grande. Ma poi soggiunge, con una frase tutt’altro che verosimile, ma che produce sempre la risata ? “Fuori: qualcheduno l’avrà nascosta in tasca”» (Cletto Arrighi, Edoardo Ferravilla, Milano, Aliprandi, 1888, p. 60).
Al 1873 risale la genesi del “vecchio barbogio” protagonista della Scena a soggetto musicale. Anche questo personaggio è il frutto della rielaborazione da parte di Ferravilla di una riduzione di Cletto Arrighi, Dal tecc a la cantina, che non stava ottenendo l’esito sperato. Ferravilla interpreta inizialmente una parte brillante, ma la cede a Edoardo Giraud desideroso di mostrare le sue abilità di ballerino, e tiene per sé quella di un vecchio paralitico che si vede piombare in casa dal tetto il protagonista. L’intervento di Ferravilla non salva la commedia, ma l’apprezzamento del “suo vecchietto” lo spinge a scrivere una scena autonoma dallo spettacolo, in cui l’anziano, sordo e sospettoso ma faceto, passa le serate ad ascoltare la nipote suonare il pianoforte. In questa breve sequenza, che annovera tra i suoi estimatori Giuseppe Verdi, Ferravilla si esibisce in una lunga serie di azioni solo a tratti intervallate dalle parole. Il vecchio è tutto un alternarsi di mugolii, note acute, gridolini, tentativi di cantare, accenni musicali interrotti dalla necessità di smoccolare la candela, sospiri e gocce dal naso.
La figura più celebre interpretata dal comico milanese è “el Tecoppa” per il quale Ferravilla si ispira all’ubriacone di Ciaccon de grappa di Giovanni de Toma da lui allestito quando era ancora un dilettante della filodrammatica “Gustavo Modena”. Il personaggio compare per la prima volta nel vaudeville i Duu ors, scritto da Edoardo Giraud e musicato da Casiraghi, con il nome di Felice Marana, ma viene immediatamente ribattezzato Tecoppa dall’esclamazione meneghina “Dio te coppa” (Dio t’ammazzi) che ne rispecchia il carattere. Riproposto in seguito nella commedia I prodezz del Tecoppa di Giuseppe Stella e Ferravilla, e ancora in Tecoppa in tribunal di Carlo Bosisio e Ferravilla, Tecoppa è un poveraccio mezzo ubriaco, ingobbito e lento che passa tutto il tempo a giocare a briscola nelle bettole facendosi campare dalla moglie, una levatrice. La sua principale caratteristica è quella di protestare sempre e contro tutto, specialmente quando ha un grave torto. Individuo «strisciante con i ricchi, superbo coi poveri, gaudente e nemico del lavoro», Tecoppa se la prende con i carabinieri e con le leggi e, quando è colto con le mani nel sacco, si giustifica con tesi deliranti (Edoardo Ferravilla, Edoardo Ferravilla parla della sua arte, della sua vita, del suo teatro, a cura di Renzo Sacchetti, Milano, Società Editoriale Italiana, 1911, p. 18).
Dopo Tecoppa, un notevole favore è raccolto anche da Massinelli. Apparso nel 1879 nello scherzo comico Class di asen di Edoardo Ferravilla, cui segue Massinelli in vacanza, Massinelli è uno scolaro tanto idiota da mal interpretare i suggerimenti dei compagni. Vestito di un paio di pantaloni scuri attillati, una giubba di tela a quadretti e un berretto a visiera in testa, incarna il perfetto esempio di “studente a vita”, pluriripetente e ignorante.
L’età anagrafica di Ferravilla non corrisponde a quella dei suoi personaggi: da anziano, il comico milanese continua a interpretare Massinelli, da giovane veste i panni di uomini anziani. Tra questi (oltre al “vecchio barbogio” della Scena a soggetto) il Sûr Pànera, un vecchio spavaldo che si batte in duello senza averne le forze e le capacità, introdotto in El duell del sûr Pànera (riadattamento di Gaetano Sbodio del vaudeville francese Martin e Zibetta). Il Maester Pastizza (protagonista del vaudeville omonimo) è invece un dilettante ossessionato dalla musica che si fa chiamare maestro e accusa i più importanti musicisti di averlo copiato. Un altro vecchio buffo è infine il Sûr Pistagna.
Tra gli altri personaggi ferravilliani è debito ricordare Gigione, un baritono toscano presuntuoso, che si vanta della bella voce, ma che appena apre bocca in teatro è fischiato dal pubblico. Proposto inizialmente in Minestron di Giraud e Ferravilla, Gigione offre l’opportunità all’attore milanese di esibirsi in una parodia del Conte di Luna del Trovatore di Giuseppe Verdi. Ampiamente rinomato è anche il tipo del Sûr Pancrazi, un uomo maturo di una donna troppo giovane, protagonista di Luna de mel, parodia della commedia La luna di miele di Felice Cavallotti. Il Sûr Camola è infine, nel Bagolamentofotoscultura di Napoleone Brianzi, lo zio di campagna di un giovane scultore trasferitosi a Milano che invece di lavorare seriamente si è dato alla pazza vita.
Tra i fattori di successo di Ferravilla ha una funzione primaria la sua capacità di trasformazione. L’attore si propone al pubblico in sempre diverse fattezze tanto da rendere difficile stabilire il suo aspetto fuori scena. Costruisce i suoi personaggi a partire al trucco attraverso il quale altera i suoi connotati. In un secondo momento stabilisce la camminata del personaggio, la sua più complessiva gestualità e infine la voce. Il costume non è solo una veste esteriore per presentarsi al pubblico. La scelta dell’abito di scena lo aiuta a definire il carattere del personaggio. In più casi condiziona la recitazione: per interpretare il Sûr Camola, ad esempio, Ferravilla si riempe le guance di ovatta. Alcuni estimatori di Ferravilla sostengono che senza il costume l’attore non riesce a concentrarsi, mentre in abito di scena gli è impossibile pronunciare una battuta inadatta alla sua nuova identità.
A dispetto dell’estrema arteficiosità del trucco e del costume, Ferravilla si distingue dagli altri attori caratteristi perchè non crea delle macchiette stereotipate, ma riesce a essere naturale pur alterando del tutto il proprio aspetto. Ha una recitazione piana, non carica le battute, non ricerca l’effetto comico «con la rumorosità dei suoi scoppi di risa» o con «la bizzarria dei gesti o la stravaganza degli atteggiamenti: i suoi mezzi espressivi erano modesti, come discreta era la sua comicità: più che di far ridere, egli cercò di far sorridere» (Cesare Levi, Profili d’attori. I. Gli scomparsi, Milano-Palermo, Sandron, 1923, p. 83). Lo sostiene un’eccezionale mimica facciale e una perfetta padronanza dell’espressività del corpo, che Renato Simoni descrive in questi termini: «Gesti impercettibili e profondi, passi dinoccolati e scalpitanti, un curioso e insignificante scoscendersi di tutto il corpo su certe ginocchia dure da cavallo di piazza. Quelle piccole alzate di spalle, certe scrollatine con la testa, il protendersi tortuoso e serpentino del collo, fuori dal solino grandioso, certe uscite di scena col dorso volto al pubblico, ch’erano capolavori di comicità e di espressione, l’eloquente ammiccar dell’occhio, l’irresistibile sbattere di ciglia, l’incresparsi vacuo della fronte e gli infiniti modi di sorridere dei quali Ferravilla era capace» (Renato Simoni, Teatro di ieri. Ritratti e ricordi, Milano, Treves, p. 72).
Prima ancora che sulla drammaturgia del testo, la recitazione di Ferravilla si fonda su quella non verbale: la sua recitazione conta più “silenzi” che parole. In Tecoppa in Tribunal «il Ferravilla non diceva più di dieci battute: eppure tutta la commedia non viveva che per la forza della sua espressione comica, oserei dire più durante le pause, che allorché pronunciava le poche parole che egli si era assegnato: i suoi piccoli occhi rotondi non si fermavano mai, andavano dall’accusatore al presidente, dai testimoni al pubblico: tutto il suo essere rivelava l’inquietudine, la viltà, la paura: mai il piccolo farabutto fu rivelato alla scena in tratti più fortementi segnati» (Cesare Levi, Profili d’attori. I. Gli scomparsi, cit., p. 82).
Anche Rasi descrive alcune battute particolarmente riuscite di Ferravilla mettendo in luce che è però soprattutto la mimica dell’attore a far divertire il pubblico: «[...] quando la signora dice alcuna parola in francese al sur Pedrin, quel comme? di lui, che non ha capito un’acca è una graziosa trovata; quando la prima donna, ormai sulla quarantina, dice al Maester Pastizza di aver ventun anno, quel io ne ho dodici di lui è una graziosa trovata; quando, detto al servitore di togliersi il cappello, el sur Pedrin si sente rispondere: “ma anche lei ha il cappello in capo”, quella sua replica “ma io sono il padrone, ignorante vigliacco” è una graziosa trovata [...]. Il comme del signor Pedrin è ben comico: ma la causa dell’irrefrenato proromper del pubblico in matte risate noi dobbiam ricercare in qualcosa più che nella parola. Quale poema il lungo silenzio che precede quel comme! L’occhio stupido, incerto; l’incerto piegar della testa coll’orecchio e la mente tesi verso la donna che ha parlato, per afferrar qualcosa di quello che ha detto, poi con timidità, con circospezione, con la paura quasi di essere inteso, il proferir di quel comme scivolato, sdrucciolato... ecco ciò che costituisce tal grandezza e finezza di arte da collocar lui fra i primissimi nostri» (Luigi Rasi, Ferravilla, Edoardo, in Id., I comici italiani, Firenze, Bocca-Lumachi, 1897-1905, vol. I, pp. 870-871).
Ferravilla è a tutti gli effetti un “attore-autore”: non solo perchè mette frequentemente in scena commedie di sua stessa produzione che ripropongono i suoi personaggi più riusciti, ma per la costante attività di riadattamento anche dei lavori scritti da altri in funzione della valorizzazione della sua recitazione. Frequentemente personaggi attinti ai testi di altri autori assumono spessore e consistenza solo grazie al suo duplice intervento di drammaturgo e attore. Nel corso delle repliche cesella e riadatta le sue creazioni in base alla risposta del pubblico. Fa inoltre largo uso delle tecniche dell’improvvisazione. Una testimonianza significativa dell’attitudine all’improvvisazione di Ferravilla e della progressiva costruzione dei suoi personaggi è quella di Dina Galli, sua migliore allieva, che ancora bambina affianca il comico milanese in El maestrin sentimental: «La rappresentazione era annunciata e doveva aver luogo la sera e non una prova era stata ancora fatta. Io ero inquieta e mi dicevo: “Cossa disarò peu mi?”. Finalmente qualche minuto prima di andare in scena presi il mio coraggio a due mani e gli feci mezza obiezione: “Le che la ghe pensa no!”. E siccome io lo guardavo stupita, continuò: “Mi sunt un maester che gh’insegni a cantà...”. E non mi disse altro, e il Maestrin sentimental venne fuori. Se non che invece di essere un giovane era un vecchio, che aveva lui pure l’affare della pallottite che la gh’andava su e giò! Alla seconda rappresentazione, che avvenne quindici giorni dopo al Fossati di Milano, Ferravilla mutò il tipo del personaggio, forse perchè gli parve più originale e comico e ne venne fuori El maestrin sentimental» (Arturo Lancellotti, I signori del riso, Roma, P. Maglione, 1942, p. 69).
Alcune battute degli spettacoli di Ferravilla divengono espressioni proverbiali, modi di dire comuni all’epoca. Tra queste quella con cui Tecoppa indica ai compari l’uomo che ha appena derubato per salvarsi dalle sue accuse: “L’ha parlaa mal de Garibaldi”. Alcuni motti poi rimasti celebri sono il frutto di intuizioni estemporanee dell’attore in scena. Tra queste quel “E io non accetto” con cui Tecoppa replicava al Pubblico Ministero che lo condannava a dieci mesi di reclusione: «Questa famosa battuta non nacque con la commedia; vi fu aggiunta improvvisamente, sul palcoscenico, alla quindicesima recita. Essa produsse anche fra gli attori che erano in iscena, una tale ilarità che lo stesso Ferravilla ne fu contagiato. Di ciò non s’accorse il pubblico, chè egli aveva un modo di ridere sulla scena da cui l’ilarità degli ascoltatori, i quali credevano a qualche controscena, era aumentata» (Arturo Lancellotti, I signori del riso, cit., p. 66).
Tra le competenze di cui Ferravilla si serve in scena spiccano quelle musicali. Musicista dilettante per passione, improvvisatore per gli amici, Ferravilla compone anche dei ballabili al pianoforte e pubblica diverse composizioni musicali, tra cui presso Ricordi la marcia Massinelli al veglione legata a uno dei suoi più apprezzati personaggi. In teatro si esibisce come cantante parodistico e nei pezzi musicali dei vaudeville. Una particolare attitudine del comico (esercitata forse soprattutto in gioventù) è inoltre quella dell’imitazione di personalità note. Tra le sue imitazioni vengono particolarmente apprezzate quelle di Cletto Arrighi, di tal Ric?u (venditore milanese di giornali che impreca sempre contro Agostino Depretis) e del padre Filippo Villani (che in un’occasione accetta di comparire in scena al fianco del figlio per far verificare al pubblico la somiglianza).
Edoardo Ferravilla ottiene uno straordinario successo di pubblico e di critica. Riscuote la stima anche di molti uomini “illustri” (tra cui Giuseppe Verdi). L’uso del dialetto milanese, pur italianizzato, non lo rende un attore provinciale, ma anzi conferisce maggiore naturalezza alla sua recitazione e lo differenzia dai caratteristi degli spettacoli in lingua che utilizzano un italiano “artificiale” anche per i personaggi appartenenti al popolo. La sua poliedrica personalità di attore, autore, capocomico e direttore conquista un primato nel genere comico riconosciuto a livello nazionale: «Del Ferravilla si deve dire che è unico. Egli ha creato un genere, senza precedenti [...]. Il Ferravilla ha superato, al nostro tempo, tutti gli artisti del teatro di prosa nella potenza di creazione. Nella miglior parte del suo repertorio egli è autore e attore; sono sue le parole, i caratteri; è sua la concezione dei tipi, sue le arguzie, che, come i tipi, divennero popolari. Non è, come altri attori, anche grandissimi, giunto ad un’alta riputazione ripetendo le cose scritte da altri, riproducendo sempre da altri immaginati tipi. E tutti l’hanno imitato, compreso Ermete Novelli, in ciò che dette di più originale. Senza imparare da alcuno, dotato di un istinto artistico, che par prodigioso, egli è stato maestro a tutti della comicità più fina, più vera, più efficace» (Jarro, Attori, cantanti, concertisti, cit., pp. 108-109).
L’arte di Ferravilla diviene modello nel repertorio comico per la gran parte degli attori suoi contemporanei. Enrico Polese Santarnecchi menziona quale unica eccezione Claudio Leigheb che nei ruoli brillanti offre la sola valida alternativa ai personaggi caratteristici di Ferravilla (cfr. E. Polese, Edoardo Ferravilla, cit., p. 22). Interessante una testimonianza dell’attrice Pia Marchi Maggi: «La disgrazia degli attori e delle attrici italiane furono il Ferravilla e la Duse... Tutti vollero imitare, e in tutto, que’ due grandi artisti. Gli attori comici, anche i migliori, recitano sempre di tre quarti, imitando, o credendo di imitare l’inimitabile Ferravilla... e le donne, dànno tutte alla loro presenza su la scena la linea d’una mezza parentesi...credendo così d’imitare la Duse...» (Jarro, Attori, cantanti, concertisti, cit., p. 39).
Veri e propri imitatori del comico milanese, che ripropongono come “maschere” ormai standardizzate Massinelli, Tecoppa, Gigione e Pastizza, pullulano soprattutto nel Sud America dove, a differenza della maggiorparte dei suoi contemporanei, Ferravilla non si reca mai. Tra questi tale Perego detto Pereghin, che si presenta con il nome di Cavalli, fa qualche fortuna proponendosi quale “copia” di Ferravilla per soddisfare l’inappagata curiosità del pubblico latino-americano verso un artista la cui fama aveva varcato l’oceano.
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Scritti/Opere
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Ferravilla è autore di molti testi teatrali. Tra le sue prime opere drammatiche Vun che va, l’alter che ven, è portato al successo dall’attore Carlo Gandini, ma in genere l’attività drammaturgica di Ferravilla è strettamente connessa al suo lavoro attorale. Fin dall’esordio, nel processo di costruzione dei personaggi, agisce anche sui copioni: i testi allestiti dal Teatro Milanese, scelti, tradotti e scritti in gran parte da Cletto Arrighi, vengono riadattati da Ferravilla per valorizzare le proprie qualità attoriche. Il personaggio di Pedrin è ad esempio il frutto dell’intervento da parte di Ferravilla sul testo di Arrighi Nôdar e perucchee. Il successo della figura dell’innamorato timido lo spinge a dedicargli un intero “ciclo” scrivendo El sûr Pedrin in quarella e Pedrin ai bagn.
Il processo di costruzione dello spettacolo per Ferravilla va dal personaggio al testo: l’attore, appoggiandosi anche a copioni scritti da altri, costruisce dei “tipi” attorno ai quali imbastisce nuove storie. È il caso di Tecoppa che, inizialmente protagonista del vaudeville i Duu ors di Edoardo Giraud, è riproposto in I prodezz del Tecoppa, scritto in collaborazione con Giuseppe Stella, e in Tecoppa in tribunal composto con Carlo Bosisio.
Tra gli altri successi di Ferravilla la Scena a soggetto musicale è frutto dell’estrapolazione di una scena che Ferravilla aveva scritto quale interpolazione di Dal tecc a la cantina di Arrighi. Da ricordare anche la serie dedicata a Massinelli, comparso per la prima volta nel 1879 nello scherzo comico Class di asen di Edoardo Ferravilla, cui segue Massinelli in vacanza.
All’edizione delle proprie commedie Ferravilla affianca anche l’occasionale pubblicazione di brani musicali, in particolare valzer per pianoforte. Della Scena a soggetto di La class di Asen risulta conservata presso le “Mediateche del Politecnico della cultura, delle arti, delle lingue” della “Fondazione Scuole civiche milanesi” di Milano una registrazione sonora realizzata probabilmente per la commercializzazione.
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