I primi documenti in nostro possesso sull’attività artistica di Virginia Ramponi, risalenti agli anni tra il 1604 e il 1606, ci offrono l’immagine di un’attrice già matura e celebrata, dotata di un bagaglio di competenze tecniche tale da permetterle di spaziare dalla tragedia alla commedia, dalla prosa alla musica. Logico quindi presupporre un esordio precedente a queste prime esaltanti apparizioni. Secondo Bartoli fu Giovan Battista Andreini a iniziarla «nel mestier del Teatro», aiutandola a specializzarsi nel ruolo di prima innamorata (Notizie Istoriche de’ comici italiani, Bologna, Forni, 1979, vol. I, p. 38). Senza dubbio l’ingresso nella famiglia Andreini fu determinante nella formazione dell’attrice, anche se il ruolo diretto di Giovan Battista pare ridimensionato dalla storia dei primi anni di carriera della coppia, segnati soprattutto dagli inarrestabili successi personali di Virginia. Ben più importante per il suo apprendistato sembra essere l’incontro con la suocera Isabella, che ebbe senz’altro modo di vedere all’opera nei suoi ultimi anni di attività e da cui seppe desumere i tratti più peculiari della sua tecnica recitativa, nonché l’immagine di donna colta e virtuosa fuori dalle scene. Un’eredità pesantissima e difficile da cui però Virginia non rimase schiacciata, ma che al contrario riuscì a reinterpretare in maniera del tutto autonoma e indipendente. Della leggendaria Isabella Andreini, Virginia Ramponi ripropose anche la celebre Pazzia, ottenendo un successo pari a quello della suocera, tale da essere immortalato nei versi di un sonetto anonimo: «Corri disciolta il crin, squarciati i panni/ Segue l’alma il furor, segue gli affanni» (Sopra i varij effetti di pallore e rossore che si videro sul volto di Florinda [...], in Luigi Rasi, I Comici Italiani, Firenze, Bocca, 1897-1905, I, pp. 147-148).
|