Nel settembre del 1606 la compagnia ducale è di stanza a Milano. Oltre agli Andreini e ai Cecchini vi sono presenti Silvio Fiorillo, Aniello Di Mauro, Giovanni Maria Bachini e altri due comici non meglio identificati, interpreti rispettivamente delle parti di Pantalone e Graziano. Grazie alle sue straordinarie qualità performative, Florinda ottiene un nuovo clamoroso successo personale presso il conte di Fuentes, governatore della città, che allieta «con cantare et sonare» (Lelio Belloni ad Annibale Chieppio in Mantova, Milano 25 settembre 1606, Mantova, Archivio di Stato, Gonzaga, b. 1730, 1 c.n.n.). Il successo è tale da spingere Andreini a cercare di sfruttare al massimo il talento della giovane moglie prolungando il soggiorno milanese e venendo di conseguenza meno agli accordi presi con la compagnia, impegnata il mese successivo a Bologna. Frittellino, in qualità di capocomico, avvia una fitta corrispondenza epistolare con la corte mantovana per denunciare il tentativo di insubordinazione: «queste sono persone avezze andar con comedenti et non con comedianti: vogliono comandare, gridare, andar et star quando gli piace, ma io ch’io sono constumato con gli primi comici che sono statti al mio tempo, non posso, né mi par ch’io deba, soportar tante impertinezze» (Pier Maria Cecchini ad Annibale Chieppio in Mantova, Milano 11 settembre 1606, Mantova, Archivio di Stato, Gonzaga, b. 1730, 1 c.n.n., in Comici dell’Arte. Corrispondenze, edizione diretta da Siro Ferrone, a cura di Claudia Burattelli, Domenica Landolfi, Anna Zinanni, Firenze, Le Lettere, vol. I., pp. 221-222).
Ma Lelio e Florinda, forti del potente appoggio dello stesso conte di Fuentes, possono permettersi di irridere i richiami del loro capocomico. Scrive ancora, esasperato, Cecchini: «la Florinda, con quel suo modo altero et sprezzante, va al solito procedendo, et si usurpano l’arbitrio, et lei et suo marito, di voler venire, non voler venire, et far quello che più comanda il suo capricio» (Pier Maria Cecchini a Vincenzo I Gonzaga in Mantova, Milano 26 settembre 1606, Mantova, Archivio di Stato, Gonzaga, b. 1730, 1 c.n.n., in Comici dell’Arte. Corrispondenze, cit., pp. 225-226). Le pressioni del conte di Fuentes sono così insistenti che il 25 settembre Annibale Chieppio fa sapere all’ambasciatore Lelio Belloni che il duca concede agli Andreini il permesso di separarsi dalla compagnia, a patto che «certo interesse pecuniario fosse risarcito dalla Florinda et suo marito agl’altri, che non haverano altro interesse di stare a Milano» (Annibale Chieppio a Lelio Belloni in Milano, Mantova, 25 settembre 1606, Mantova, Archivio di Stato, Gonzaga, b. 2704, fasc. 6, lett. 69). Nonostante il permesso del duca, all’inizio di ottobre Lelio e Florinda partono da Milano con tutta la troupe alla volta di Mantova, per poi raggiungere Bologna in novembre.
È soltanto il primo atto della burrascosa convivenza tra gli Andreini e i Cecchini, uno scontro decennale in cui si fronteggiano due maniere diametralmente opposte di intendere la professione teatrale. Da un lato l’attenzione di Frittellino e Flaminia all’immediato presente, all’unità della compagnia e alle esigenze del gruppo, dall’altro la strategia di Lelio e Florinda incentrata sulla memoria futura e sull’autocelebrazione, sulla meticolosa costruzione di una fitta rete di singole committenze e protezioni illustri. La lotta per la supremazia nella compagnia ducale tra le due coppie d’arte, vede vincitori in un primo momento i più esperti e navigati Cecchini. È Frittellino che nel 1607 riceve dal duca di Mantova l’incarico di formare una compagnia per una prossima, e importantissima, tournée in Francia. Dalla troupe allestita da Cecchini Lelio e Florinda restano ovviamente esclusi, ma proprio la partenza dei principali rivali risulta decisiva per la definitiva consacrazione degli Andreini.
Con il campo completamente libero dagli avversari, le quotazioni di Virginia e Giovan Battista presso le piazze italiane salgono fino a ottenere un prestigio identico, se non superiore, a quello dei Cecchini. Ancora una volta, nella conquista del successo, sono decisive le virtù recitative di Florinda. Nella primavera del 1608 a Mantova fervono i preparativi per le nozze di Francesco Gonzaga, primogenito di Vincenzo, con Margherita di Savoia, figlia di Carlo Emanuele I. L’apertura del ciclo festivo è affidata all’Arianna, commedia musicale di Ottavio Rinuccini con le arie di Claudio Monteverdi e i recitativi di Jacopo Peri. La preparazione dell’allestimento viene però bruscamente interrotta il 9 marzo dalla morte improvvisa della protagonista, la giovane cantante Caterina Martinelli. A sostituirla all’ultimo momento è chiamata proprio Virginia Ramponi, che sin dalle prime prove riesce a sbalordire tutti con il suo talento, imparando la parte in appena «sei giorni, e la canta con tanta grazia ed affetto che ha fatto meravigliare Madonna, il signor Rinuccini e tutti i signori che l’hanno udita» (Antonio Costantini a Vincenzo Gonzaga in Mantova, Mantova 15 marzo 1608, in Pietro Canal, Della musica in Mantova, Bologna, Forni, 1977, p. 110). La sera dell’esecuzione ufficiale, mercoledì 28 maggio 1608, per Florinda è un trionfo senza precedenti: «tutti i recitanti ben vestiti fecero la loro parte molto bene, ma meglio di tutti Ariana commediante; et fu la favola d’Ariana et Theseo, che nel suo lamento in musica accompagnato da viole et violini fece pianger molti la sua disgrazia. V’era un Raso musico che cantò divinamente; ma passò la parte Ariana, et gl’eunuchi et altri parvero niente» (Annibale Roncaglia a Cesare d’Este in Modena, Mantova 29 maggio 1608, Modena, Archivio di Stato, Estense, Ambasciatori, Mantova, b. 8, fasc. 6, c. 4rv, in Claudia Burattelli, Spettacoli di corte a Mantova tra Cinque e Seicento, Firenze, Le Lettere, 1999, pp. 44-45).
La partecipazione al ciclo festivo mantovano del 1608 nel corso del quale viene impiegata, sempre come cantante, anche nel balletto delle Ingrate, è la vera svolta della carriera di Virginia Ramponi e, per riflesso, anche di Giovan Battista Andreini. Florinda diventa, così come lo era stata la suocera Isabella, l’incarnazione stessa del mito della prima donna, attrice seducente e sposa virtuosa al tempo stesso, eroina e martire, capace di cancellare le bassezze del mestiere dell’attore con la propria levatura spirituale. Un’immagine che Giovan Battista Andreini, attraverso i suoi scritti, saprà sapientemente alimentare e consacrare, dipingendo la moglie come donna ostinatamente devota al lavoro e alla famiglia: «in retirata camera retirandosi, altro non fa che dottrinar se stessa con que’ savi discorsi che di recitar se le aspetta, e corregger l’azzioni sue col mortificarsi nella poca e nella molta lubricità del gestire, [...] stanca alle stanze s’invia e si ricovra, [...] udito, veduto quello che studiarono il giorno i pargoletti figliuoli, ecco della cena l’ora soprarriva e del riposo l’ora. Ecco la misera, nelle fatiche ognor sommersa, nel letto stesso angusto ricovero dell’auguste fatiche, all’acceso lume dar lume maggiore con la virtù a se stessa, altre cose nuove studiando, al nuovo tempo per rappresentarle, alla donnesca riputazione per accrescer giornalmente vanti maggiori» (Giovan Battista Andreini, La Ferza, Parigi, Callermont, 1625, in Ferruccio Marotti ? Giovanna Romei, La professione del teatro, Roma, Bulzoni, 1991, pp. 505-506).
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